La felicità assoluta: una strada fantasma

“Nella nostra società le emozioni in generale vengono scoraggiate. Benché senza dubbio il pensiero creativo,

come ogni altra attività creativa, sia inseparabilmente legato alle emozioni, è diventato un ideale pensare e vivere senza emozioni. Essere emotivo è diventato sinonimo di instabile e squilibrato”. (Erich Fromm)

Una delle tante cose che ci manca è la capacità di avere una presa diretta e sincera, costante, con le nostre emozioni, con la totalità delle nostre emozioni. Tutte quelle che ci rappresentano e che ci consentono di essere, integralmente, degli esseri umani.Generalmente le distinguiamo in negative e positive, ma già il fatto di operare una distinzione, del tutto astratta, tra emozioni negative ed emozioni positive è qualcosa di artificioso. Non tanto perché le emozioni, ovviamente, siano tutti uguali, quanto, piuttosto, perché scatta un etichettamento mentale che c’induce a mettere il ‘segno più’ ed il ‘segno meno’ ad esse.

All’interno della nostra mente esiste une tendenza, per lo più inconscia, che trasforma automaticamente le emozioni connotate positivamente come qualcosa da cogliere accettare, mettendo in gioco se stessi, mentre le emozioni etichettate col segno meno come qualcosa da eliminare, da sconfiggere, un nemico da cui tenersi il più possibile alla larga. Eppure non esiste errore più grande del cercare di tenersi alla larga dalle emozioni negative, sbaglio peggiore che interpretare le emozioni ‘negative’, come rabbia, angoscia, ansia, tristezza, o senso di vuoto come una minaccia da sconfiggere: un ostacolo da eliminare ad ogni costo. Ci è stato insegnato che, appena notiamo al nostro interno l’arrivo di emozioni negative, dobbiamo immediatamente metterle da parte, perché è questo che, a tutti gli effetti, ci hanno indotto a fare.

La realtà che ci circonda, anche per via dei social, ci mostra un modello di vita dove tutto sembra bellissimo e dove gli altri sembrano sempre stare meglio di te, che leggi, anche se, a ben vedere, tu fai parte degli altri e quindi tu per gli altri sei -gli altri- in ciò che risulta essere, in definitiva, un vero e proprio circolo vizioso che si autoalimenta. Siamo tutti lì a sbatterci in faccia, vicendevolmente, quanto sia bella la nostra vita e, quindi, finiamo per convincerci, tutti assieme, che sia effettivamente così, in questa realtà del sempre-sorridere. Non c’è niente di più facile che cadere nella trappola della censura nei confronti delle proprie stesse emozioni, generalmente considerate negative. Ecco, forse bisognerebbe cercare anzitutto di eliminare questa fasulla distinzione tra -emozioni positive- ed -emozioni negative-, almeno a livello astratto. Proviamo a considerare le emozioni come una cosa unica, proviamo a prendere in considerazione tutto quello che siamo come un grosso affresco emotivo, nel quale una cosa senza l’altra, un dettaglio senza l’altro, rischia di snaturare il quadro generale, perché è questa, in definitiva, la diretta, nefasta, conseguenza del considerare le emozioni “positive” molto più importanti, e quindi degne d’esser vissute appieno, rispetto alle cenerentole emozioni negative.

Ritenere il senso di serenità come qualcosa di nettamente più importante rispetto a sensazioni come l’angoscia, porta a un’alterazione del nostro quadro sistemico. Induce un’alterazione di ciò che realmente siamo perché noi, in quanto esseri umani, quindi esseri imperfetti pieni di sbavature, possiamo avere il legittimo desiderio di vivere soltanto emozioni dal segno più ma dobbiamo accettare, nella realtà, di vivere anche emozioni con il segno meno. Il punto della questione è proprio questo: accettare di avere sensazioni negative dentro di noi. I canoni imposti dalla società contemporanea, coi suoi modi di vivere e i pervasivi modelli di successo inculcati dalla nascita, inducono a credere che il modo migliore per raggiungere la condizione esistenziale perfetta, e in quanto perfetta totalmente inesistente e illusoria, sia tenere alla larga tutto ciò che ha il segno meno dentro di noi.

In parole povere, per essere felici non bisogna stare male. Per essere felici bisogna sorridere sempre, affrontando la vita in modo forzosamente sereno, anche quando le cose vanno chiaramente male. Tutto questo affaccendarsi per convincersi che le cose siano così, che per raggiungere la felicità l’unica strada percorribile sia quella di stare sempre bene, conduce alla falsificazione perenne del proprio Sé e ad un pericoloso e patologico distacco dalla nostra autentica totalità emotiva. Ogni volta che ci si rende conto di star male, ogni volta che veniamo attraversati da sentimenti negativi apparentemente incontrastabili, ogni volta ci troviamo lì nella nostra stanza soli al buio, con quel senso di vuoto che sembra divorarci vivi, ci viene da chiederci cosa ci sia di sbagliato in noi, viene da chiedersi per quale motivo, se la felicità si raggiunge stando bene, in questo momento io stia male, per quale motivo, mentre tutti intorno a me sorridono e sembrano essere veramente felici, io sia qui invece a torturarmi coi i miei pensieri, con le mie angosce.

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“Senza emozione, è impossibile trasformare le tenebre in luce e l’apatia in movimento”. (Carl Gustav Jung)

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Il meccanismo che si crea è un meccanismo di autoesclusione. Ci abituiamo all’idea che la felicità assoluta esista, che lo stare bene assoluto esista e questa idea assolutizzante conduce a distaccarci dalla autenticità, dall’interezza del nostro essere, ci rende incapace di dialogare con noi stessi perché, appunto, ci abitua ad autocensurarci, a chiudere in cassaforte tutte quelle emozioni che non vengono socialmente accettate perché sono etichettate, meccanicisticamente, come qualcosa da debellare.mÈ assurdo pensare che la ricetta dello star bene sia silenziare le emozioni considerate negative, ostacolando o rimuovendo stati d’animo ritenuti ostili al fine di autoconvincersi che l’unica cosa da fare sia evitare di stare male, votati al sempre-sorridendo.

Il benessere assoluto non esiste, esattamente come non esiste la felicità assoluta, lo stare bene assoluto, privo di sbavature. Analogamente non esiste il modello di successo assoluto, la piena e definitiva realizzazione di sé. Tutti noi vorremmo raggiungere queste dinamiche sociali che, semplicemente, non esistono. Sono falsi miti indotti che spingono continuamente ad andare oltre, mettendoci in competizione sfrenata e innaturale l’un l’altro: frenesia che porta a sopprimere parti di noi ritenute inidonee, ostacoli al raggiungimento di obiettivi assoluti: i traguardi della felicità estrema. La verità è che non riusciamo a stare bene, non riusciamo a stare veramente bene. Semplicemente perché non accettiamo di stare male, non siamo capaci di dialogare con le nostre emozioni ‘negative’. Quando ci sentiamo tristi, quando ci sentiamo vuoti cerchiamo in tutti i modi di scappare, cerchiamo di scappare da noi stessi: è questa la cosa grave.

Il punto è che ogni volta che stai male, che vieni colto da uno di quei momenti vuoti, di disagio, disperazione e cerchi di scappare, stai fingendo, con te stesso, illudendoti che queste cose non esistono. Sappi che, probabilmente, ti stai allontanando dalla “cura”, poiché stai agendo nel modo peggiore possibile, nel peggior modo possa esistere, sul tuo stato d’animo: qualcosa che, in realtà, nemmeno andrebbe curato, perché, se ci rifletti, non c’è proprio nulla da curare: star male è una cosa normale! Siamo convinti che angoscia, tristezza, senso di vuoto e malinconia siano cose che non debbano esser vissute e che anzi vadano contrastate, mentre, a ben vedere, sono normali, esattamente come la gioia, la voglia di vivere e di sorridere.

Siamo esseri umani, e siamo fatti anche di momenti ‘no’, anche di momenti bui anche di momenti in cui le tenebre sembrano prendere il sopravvento. L’unica cosa che possiamo fare per pensare di stare bene, per provare a star bene è accettare che ciò accada, renderci disponibili allo star male, perché stare male è una cosa normale, è una cosa che fa parte di ognuno di noi. Siamo tutti uguali, siamo tutti lupi dello stesso branco. Non si può scappare dalla negatività della vita dai momenti col segno meno, e probabilmente il fatto che li interpretiamo come negativi li trasforma, davvero, in negativi. Annulliamo la distinzione tra emozioni positive e emozioni negative, sul piano astratto, concettuale, perché nella struttura nella nostra cultura ciò che ha il segno meno deve essere eliminato. Prova a pensare a tutte le emozioni che ti attraversano come qualcosa che fa parte dello stesso quadro, qualcosa di fondamentale alla creazione del disegno che sei perché non c’è nulla da buttare. Non bisogna trasformare certe emozioni che ci rappresentano col segno meno in un nemico, bisogna essere disponibili, bisogna solo parlarci, dialogarci, capirle e, magari, accettarle. In sostanza, questo è quello che siamo: essere imperfetti attraversati da momenti di buio e momenti di luce. Finiamola di sognare questo modello assoluto di felicità, dove tutto va bene, dove tutto è felice perché la cosa migliore che possiamo fare per star bene è smettere di cercare di stare bene a tutti i costi, iniziare a sorridere, in maniera sincera e sana, smettendo di cercare di sorridere anche quando non c’è nulla per cui valga la pena di farlo.

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“La cosa migliore che possiamo fare per stare bene è sentirci liberi di stare male. Stare male è normale, sii libero”.

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Gaetano Sorbo