Arte e didattica – le ragioni dello sguardo

In un periodo di pandemia come questo, in cui si assiste ad un cambio radicale del rapporto tra docente e discente,

nell’ambito della cosiddetta didattica a distanza,  mi solletica l’idea che, oggi  l’immagine e nello specifico l’immagine artistica, si prefigura come veicolo di conoscenza e riflessione, specie se legata allo sviluppo delle competenze, poiché assolve a un tipo di didattica reattiva tesa a sviluppare quello che potremmo considerare un pensiero critico.

Lo stesso pensiero critico postulato in un metodo che oggi molti mettono in pratica , chiamato Visual Thinking Strategies. Metodo che a partire dagli anni ’80 in America si è via via sviluppato nelle scuole di ogni ordine e grado fino alle Università . Questo nuovo pensiero visuale intende porre l’arte come possibile collante tra diverse discipline scolastiche attraverso una pratica per lo più laboratoriale, da svolgersi in aula, nei musei o in modalità online. Nulla di nuovo direbbe qualcuno, soprattutto in riferimento agli studi di semiotica che ci hanno accompagnato negli ultimi anni, specie nella codifica di opere d’arte o in relazione a semplici messaggi visivi. Ma a ben guardare non si spiega come ancora al giorno d’oggi queste pratiche di studio siano solo marginalmente tenute in debita considerazione, per non parlare della poca attenzione riservata alla storia dell’arte e io aggiungerei alla storia delle immagini, nell’ottica di importanti studi di iconologia e iconografia, che implicano un’ attività cognitiva e visiva di fondamentale importanza per la conoscenza.

A tal proposito e in merito a quanto finora esposto, dovremmo riconoscere allo sguardo un ruolo a dir poco fondamentale per un approccio costruttivo con l’opera d’arte. Innanzitutto è bene fare una distinzione tra il vedere e il guardare. Posto che al primo termine venga attribuito un modo passivo di percepire le cose, al secondo, invece, viene affidato il compito di percepire con cognizione. In realtà la condizione del guardare si carica di un compito molto più penetrante in quanto regolato dalla durata e dalla intensità del vedere. Tale distinzione è ben esemplificata nel libro del semiologo Omar Calabrese dal titolo Come si legge un’opera d’arte a cui vorrei, brevemente, riferirmi per elencare i Tipi di sguardi che vengono sapientemente descritti nel terzo capitolo della suddetta pubblicazione.

 

Si va dal coinvolgimento dell’osservatore costretto a focalizzare l’attenzione verso un punto del quadro, stabilito in base alla disposizione di forme e colori (lo sguardo sul quadro), alla condizione dell’osservatore che si trova ad essere guardato dalla figura del quadro, specie nel caso dell’autoritratto (lo sguardo dal quadro), passando per la visualizzazione dell’impianto prospettico della composizione, per cui chi osserva il dipinto è relazionato a un punto di vista generico o, in alcuni casi, a un precisa posizione da assumere  rispetto allo spazio rappresentato (lo sguardo dal quadro), fino alle dinamiche di relazione emotiva di figure che, all’interno dello spazio dipinto, si guardano dando vita all’espressione della narratività (lo sguardo nel quadro). Lungi dal proporre una descrizione inerente forme di Semiotica strutturale, ci basti constatare che ogni indagine attinente a tale ricerca prevede una relazione tra il piano dell’espressione (l’impianto compositivo) e quello del contenuto (il messaggio).

Questa relazione tra contenuto ed espressione collima nella manifestazione del simbolo, così come l’intende Nelson Goodman: i simboli rimandano alla comprensione dell’opera d’arte nel momento in cui esemplificano alcune proprietà dell’esperienza. Nell’esemplificazione, che è l’elemento fondamentale di funzionamento estetico, riusciamo a cogliere l’effettiva rilevanza del simbolo quando ci è chiaro che non è quest’ultimo ad essere denotato dall’opera ma è l’opera a essere denotata dal simbolo. Insomma sono alcune proprietà del simbolo (colore, forma, dimensioni, posizione,  ecc)  che esemplificano certe caratteristiche che fanno sì che l’opera d’arte acquisti un aspetto triste, gioioso, dinamico o statico e non viceversa.

Dunque per ritornare alla questione centrale di questo scritto, ci si chiede se attraverso i simboli, attraverso narrazioni e destrutturazioni del testo visivo, sia possibile dare adito a nuove stimolanti conoscenze, se i simboli alla stregua della metafora, che “sta per” qualcosa o si “riferisce a” qualcuno, possono ancora oggi rivelarci aspetti del “mondo” che noi non conosciamo, farci riflettere, attraverso una didattica attiva e per nulla scontata.

Angelo D’Amato