Federico II di Svevia tra poesia e buona cucina

Quanto conta l’influenza delle altre culture sulla nostra tradizione gastronomica? La risposta è ovvia:

quel che compare sulle nostre tavole è frutto dell’incontro di abitudini alimentari differenti, mescolate ed amalgamate nel corso dei secoli in un orizzonte variegato di sapori. La Corte di Federico II di Svevia fu il luogo simbolo dello scambio tra culture, dell’incontro tra Oriente e Occidente.

Ai tempi di questo imperatore rudi erano i costumi e il modo di vivere. Gli uomini portavano sul capo cuffie di squame di ferro, cucite a berretti che chiamavano majete. A tavola l’uomo e la donna mangiavano assieme nello stesso piatto. Sulle tavole non esisteva l’uso dei taglieri. In casa si contavano uno o due bicchieri. Di sera i commensali illuminavano la tavola con lucerne o con fiaccole rette dal servo o da qualcuno dei ragazzi: infatti non si usavano candele di cera o di sebo.

Gli uomini portavano clamidi di pelliccia senza copertura oppure di lana, le donne indossavano cuffie di pignolato, anche quando partecipavano con i mariti alle feste di nozze. Raramente appariva l’oro e l’argento sulle vesti; anche il cibo era frugale. I plebei si nutrivano di carni fresche tre volte la settimana. A pranzo si consumavano verdure cotte con la carne, a cena la stessa carne fredda conservata. Le donne si sposavano con dote modesta perché parsimonioso era il loro stile di vita. Le maritate portavano bende avvolte intorno al capo e al volto. Il lusso italico nel basso Medioevo ebbe il volto di Federico II, noto tra i contemporanei come Stupor Mundi.

L’imperatore si abbandonava spesso a riunioni conviviali, non ricche abbuffate ma cene raffinate cui partecipavano musici, trovatori, maestri dì fabbrica, belle donne. Alla Mensa di Federico si discuteva di poesia, d’arte, di musica e di architettura. Raramente si parlava di guerra, quasi a significare il profondo solco che l’imperatore poneva tra l’uno e l’altro momento della sua vita e della sua giornata. Si dissertava di caccia, soprattutto durante le soste che si tenevano, tra una battuta e l’altra, nei boschi del Melfese, o in quelli del Gargano.

Nel Palazzo imperiale di Foggia i cibi erano serviti su un blocco di granito bruno del Gargano lungo circa quattro metri, sorretto da quattro pilastri tozzi: simile a quello che oggi è consacrato ad altare maggiore nella cattedrale di Lucera.

Ma di cosa si cibava Federico II? Di carni allo spiedo, in particolare di lepri e di allodole. Amava i fagiani, che cacciava con i falchi ed i colombi, spalmati con il miele e passati alla brace con erbe aromatiche. Non da meno amava il pesce. Così ordino a Riccardo di Pucaro della Curia di Foggia il 28 Marzo 1240: …Alla tua fedeltà ordiniamo che a Berardo cuoco della nostra cucina, tu faccia pervenire dei buoni pesci di Lesina ed altri dei migliori che si possano trovare affinché egli ne faccia per noi l’aschipescia e la gelatina che manderai a noi in fretta secondo il nostro ordine.

Cosa dire dei funghi? I cronisti narrano che Federico ordinava che …prima li biancassino facendoli per poco bollire in acqua ed indi li salassero e li conservassero in cognetti (piccole botti cilindriche). Un discorso a parte merita il pane, da non intendersi come il pane di oggi. Si trattava di piccole forme biscottate fatte con fiore, latte, miele, burro e cotte in forni a legna. Vi era anche il pane casareccio confezionato con farina, lievito e sale e pane vendereccio bianco di semolone oppure oscuro di farina e crusca.

Non meno importanti le verdure, che gustava specialmente quando soggiornava nel Palazzo Imperiale di Lucera. Erbe spontanee e verdure: borragine, rughetta, finocchietti, cicorielle, caccialepri, crispigni, cardoncelli. Di solito, le preferiva lessate con olio crudo. Queste erbe crescono tuttora in Puglia e sono mangiate nello stesso modo, con cui le mangiava l’Imperatore. Il tipico piatto lucerino, i fonghie ammisck era anche allora uno dei piatti preferiti da Federico II, tanto da farne una ricetta che, è giunta sino ai tempi nostri. Anche il pancotto, che si mangiava ai tempi dell’Imperatore, è tuttora una delle specialità locali. Le erbette citate erano e sono la componente essenziale. Biscotti e miele erano usati nella dieta per disintossicarsi dal continuo utilizzo della carne. Un’altra volta disse sempre al giustiziere Riccardo: Alla tua fedeltà ordiniamo che subito, senza indugi, tu faccia mandare alla nostra Curia tre salme di vino greco. Oltre al vino greco, Federico usava una bevanda molto aromatica, da bere calda: l’acqua di calabrice, derivata da una pianta selvatica del Gargano simile ad un pero selvatico. Un cronista dell’epoca, parlando di una bevanda ristagnativa, incisa, attenuante, lascerebbe intendere che si potrebbe trattare di un digestivo.

Come frutta, all’epoca di Federico c’erano fichi, noci, uva, datteri, mele, pere ed anche meloni. Non c’era ancora la pasta ed il nutrimento era costituito in prevalenza dal miglio e dall’orzo. Vi erano invece, molti formaggi come il provolone, la mozzarella ed il pecorino che usava dare anche ai suoi cani preferiti. Della Puglia, che gli forniva tutto ciò che era possibile per approntare la sua mensa, si dice che abbia esclamato: È evidente che il Dio degli Ebrei non ha conosciuto l’Apulia e la Capitanata, altrimenti non avrebbe dato al suo popolo la Palestina come terra promessa.

Francesco Martini