Gisella Blanco – “scrivo perché esisto”

Insolente, polemica, sofferta e sofferente, con apici di nostalgia, di dolore ammesso senza vergogna.

Sono nata a Palermo nel 1984, il giorno della presa della Bastiglia: il senso di poter vivere in rivoluzione mi è connaturato ma senza accezioni di violenza. I miei genitori erano due avvocati del foro di Palermo, mamma era stata la prima donna a vincere la toga di procuratore legale. Le donne della mia famiglia, dal lato materno, erano femministe. Scelsi di frequentare il Liceo classico e, poi, la facoltà di legge che ho concluso a Roma. Mi trasferii nella Capitale nel 2009. Scrivo da sempre, ho vinto svariati concorsi letterari quando ancora non avevo nemmeno 20 anni ma mi sono lanciata in un progetto editoriale solo a fine 2019. Sono mamma, giurista, buddista e animalista (nonché gattofila convinta). Dicono di me che sia molto polemica: mi si conceda questa personale licenza poetico-esistenziale!

Salve Gisella e benvenuta nel nostro spazio. Grazie per aver accettato la nostra intervista.

Salve a tutti è un piacere essere qui con voi, vi ringrazio per l’opportunità che mi concedete e il tempo che mi dedicate.

Che cosa significa oggi essere una poetessa?

Credo che ogni persona che si cimenta in un’arte declini la propria modalità di espressione. La mia è certamente dialogica: non scrivo per me stessa, le mie creazioni non sono dei diari, in ogni testo c’è un legame con chi lo leggerà, che può essere di accoglienza, di opposizione, di similitudine o di distanza ragionata. Mi sta molto a cuore la relazione con l’altro, nella vita così come nella scrittura (che, in fondo, coincidono), con il diverso-da-me, con me nelle molteplici sfaccettature della mia personalità, con le innumerevoli condizioni esistenziali che ognuno vive –giorno per giorno- individualmente e collettivamente.  

Scrivere è il mio istinto letterario di sopravvivenza, sopravvivo alla difficoltà dell’esistere scrivendo, scrivo perché esisto. Il mio linguaggio poetico, non del tutto moderno ma nemmeno imbrigliato nella metrica, credo che sia uno dei pochi codici comunicativi con il quale poter esprimere ciò che necessito di dire in modo libero, schietto, veemente ma mai prevaricatore. In ultimo, il poeta non è mai un fingitore, me ne perdoni Pessoa per l’insolente contraddizione ma non si può prescindere dal proprio Io per dialogare empaticamente con tutti gli altri. La poesia, nella sua forma esteriore, può anche optare per una finzione letteraria ma la vis creativa che sta alla base, il magma di sentimenti, emozioni e fragilità che fluiscono dal petto alla penna non possono mai essere insinceri o distaccati, a meno di rinunciare a se stessi per una molteplicità ontologica irrealistica, poco efficace e affatto appassionata.

 

Quando hai scoperto o capito che dovevi scrivere poesie?

I primi versi, che erano semplici parole di bambina, li ho scritti quando non avevo nemmeno 10 anni ma la possibilità di scrivere poesia e farlo con una finalità sociale è emersa nei primissimi anni dell’adolescenza. Ho sempre scritto un po’ di tutto (prosa, teatro, articoli) ma la poesia è stata proprio istintuale, necessaria.

Ti chiedo una tua definizione del concetto di Poesia. 

La poesia, per me, è uno specchio della società. È una coraggiosa forma per esprimere concetti complessi in poche parole, dietro ad ognuna delle quali c’è una enorme ricerca e che recano in sé la potenzialità di non essere univoche: la poesia è un veicolo comunicativo duttile, che si trasforma (anche se non del tutto) assieme al suo lettore. A differenza della maggior parte della prosa, non sempre c’è una interpretazione rigida della composizione poetica, ci si apre alla possibilità di una declinazione soggettiva, pur senza snaturarne il flusso di senso che ha impresso chi scrive. Inoltre, la poesia è come una piccola pianta che emerge dal prato, sotto al quale si trova un folto groviglio di radici che sono tutte le idee e i concetti che non sono scritti ma che sono l’accordo tacito e invisibile tra il poeta, la vita e il lettore. La poesia, per me, è salvifica in senso individuale e collettivo, nel suo potenziale sovversivo ma sempre gentile.

Chi sono i tuoi maestri?

Gli ermetici in primis: Quasimodo, Gatto, a cui sono grata per avermi indicato la mia strada stilistica. Durante il liceo, è stato di grandissima ispirazione Jacques Prévert per le sue poesie d’amore, in cui dolce e amaro coincidono meravigliosamente. Sono rimasta affascinata da Paul Eluard nell’età più matura, magnifica penna, difficile da leggere come piace a me. Alda Merini l’ho apprezzata negli ultimi anni, come donna, come poetessa, come persona capace di andare oltre l’usuale e oltre sé stessa, benché ciò abbia comportato conseguenze durissime nella sua vita. Baudelaire con le sue tinte noir e truculente rappresenta l’ispirazione alla mia voce poetica più cruda e dolorosa, sanguinante. Con Bukowski condivido la passione per i gatti: come potrei non amarlo?

In che modo il tuo mondo interiore chiede di esprimersi e in che modo  lo senti e lo attui attraverso la scrittura?

Ribadisco che il mio mondo interiore, cui non rinuncerei mai nelle mie poesie, è solo l’espediente per dire altro, per andare oltre. A volte mi capita di fermarmi per strada se sono a piedi, accostare la macchina, svegliarmi di notte, smettere di mangiare, estraniarmi da un contesto sociale per scrivere: mi viene una idea, il flusso interiore si plasma in parola che affiora tra il petto e la gola che, puntualmente, mi offrono una sensazione di pianto come immancabile preludio al muoversi della penna. Non piango mai: scrivo. Scrivo velocemente. Quello che butto giù ha bisogno di lievitare, rimane lì fino a che non sarà il momento del labor limae in cui si toglie, si aggiunge, si modifica, si inspessisce: è un lavoro lungo in cui vengo alla luce, muoio e rinasco, necessario e doloroso, durante il quale metto in discussione me stessa infinite volte.

L’Italia è ancora un paese di lettori?

Sì. Non mi importa delle statistiche, non mi importa degli svariati articoli sull’analfabetismo funzionale degli italiani, su come le scuole vadano indietro e i ragazzi perdano passione e strumenti formativi. In Italia si legge, non mai abbastanza ma si legge. E si scrive, molto. L’offerta, forse, supera la domanda in quantità. Probabilmente la domanda dovrebbe tornare a pretendere nell’offerta la qualità: credo che questa sia l’importante sfida di chi decide di scrivere oggi e cioè puntare sulla qualità anche a costo di diminuire la quantità. Anche l’editoria dovrebbe dare il proprio contributo, limitando le troppe offerte di pubblicazioni a pagamento in funzione di testi in cui sia lo scrittore che l’editore credono e investono.

Che cosa si potrebbe fare per appassionare le persone alla poesia?

Divulgarla, renderla cosa di tutti anche se non per tutti. A capodanno mi era balenata una idea bislacca per la testa: stampare centinaia di bigliettini con poesie di autori celebri e sparpagliarle in città, sui cofani delle macchine, nei negozi, nelle mani della gente per strada. Così si dovrebbe fare anche sui social ed esistono già tante iniziative di questo genere, come la Setta dei Poeti Estinti, progetto culturale ideato da due miei amici, che si trova sui social ed è molto attivo on line e dal vivo, attraverso idee e programmi interessanti, appassionanti e fruibili da parte di tutti. Articoli, blog, dirette streaming, giornali cartacei e non, locandine, tv, radio: punto sulla modernità per tornare all’essenziale.

Aldo Palazzeschi scrisse: “Gli uomini non domandano più nulla dai poeti” Quanto può essere vera questa affermazione?

Anche in questo caso, prendo le distanze da questa voce illustre e certamente molto valida. Finché la poesia vive, avrà qualcosa da dire, la dirà e qualcuno la ascolterà perché in quei versi si sarà dato forma ad una urgenza emotiva del lettore e dello scrittore che, altrimenti, non sarebbe emersa o lo avrebbe fatto senza la forza creativa della poesia che aggiunge valore al solo –benché alto- costo di smascherare la fragilità umana nascosta. Non chiederci la parola è un altro esempio illustre e meraviglioso di come un poeta si possa sentire, a volte, solo: questa è una finzione della mente in cui ci si ripara per il troppo dolore o per un senso avvilente di disillusione. La poesia, però, è un vizio irrinunciabile.

La poesia può ancora salvare il mondo? 

È il suo scopo precipuo, che declina sia contenutisticamente che nella bellezza del suono. La poesia deve salvare il mondo, con il fondamentale apporto di chi la legge.

 

Come nasce la tua ultima raccolta “Melodia di porte che cigolano”? 

È una raccolta che contiene composizioni vecchie e composizioni nuove. È un trampolino, un punto di partenza, l’inizio di un discorso. Ho già materiale per altre due sillogi che saranno diverse dalla prima, pur mantenendo l’ardore, la commozione e l’entusiasmo della prima. E anche se i titoli saranno diversi, il suono stridulo di porte che, aprendosi, cigolano offrendo una nuova melodia che è – insieme – armonia e fastidio, sarà la colonna sonora perpetua dei miei scritti e della mia vita personale e letteraria.

Quali sono le idee che vuole esprimere in questa sua opera?

Sono presenti e preponderanti i valori femministi. Emerge un forte contrasto al patriarcato becero e oppressivo, alla violenza in ogni sua forma, persino quella volta a sé stessi, alle tradizioni sociali, culturali e religiose che levano dignità alle donne e agli uomini, alle spinte misantropiche che si esprimono nel “distanziamento” spirituale ed etico (termine molto in voga in questo periodo) e nella esasperazione dell’indipendenza soggettiva in funzione della quale, spesso, si rinuncia ad una profonda dimensione relazionale che ci restituisce, a determinate condizioni, una visione più lucida e verosimile di noi stessi.

Tratto anche i temi della morte e della fragilità, senza paura e senza vergogna: provo ad offrire un punto di vista in cui l’uomo non è ‘piccolo e solo’ ma potenzialmente immenso in un’ottica di reciprocità e assenza di sopruso. La rivoluzione dolce è lo spunto di un nuovo umanesimo in cui la donna e l’uomo non sono al centro, emarginando il resto del mondo e delle altre creature (ed emarginandosi tra loro) ma sono il centro, così come tutto ciò che esiste, in un’ottica di profondo e reciproco senso di responsabilità. Possiamo credere che, di questi tempi, non esistano più eroi oppure possiamo esserlo tutti insieme.

 

Grazie Gisella, è stato un piacere averti con noi. Le tue parole ci riempiono di speranza. La speranza di una ripresa culturale di questa nostra Italia. Ti facciamo i nostri complimenti per la pubblicazione del tuo ultimo lavoro .

Grazie a voi, è stato un immenso piacere, spero di poter tornare ancora ai vostri microfoni.

Francesco Martini