INVALSI: cui prodest?

Dopo venti anni di sperimentazione quale bilancio per il sistema nazionale di valutazione? Proponiamo una riflessione “semiseria” sulla validità del sistema dei test strutturati, abbandonati in molti paesi e glorificati in Italia.

Mi permetto di introdurre il discorso usando la parola semiseria, anche se ero indeciso fino all’ultimo con faceta e tentato di usare ridicola; ridicola non la mia riflessione ma tutta questa patetica farsa fliacica denominata INVALSI. Nella patria degli inutili carrozzoni, uno in più, uno in meno… ma io credo sia sempre meglio uno in meno, soprattutto quando si tratta del già vituperato e martoriato sistema scolastico.

Ma è davvero possibile che nessuno dei grandi cervelloni impegnati in commissioni, tavoli, gruppi, equipe psicopedagogiche multidisciplinari, si sia mai reso conto di quanto inutile e ridicolo sia questo sistema di verifica – valutazione (perdonatemi se uso una definizione tanto ortodossa per l’attuale sistema scuola) sia assurdamente fuori dalla logica, dalla pedagogia, dalla psicologia dell’educazione e dello sviluppo e collida come una porterei nel gretto di un ruscello con l’organizzazione che il MIUR volle dare illo tempore alla scuola con la legge sull’autonomia scolastica?

Analizziamo un punto per volta: se a partire dall’art. 21 della legge Bassanini, con tutte le aggiunte e modificazioni che sono venute fino a oggi, nella scuola italiana sono state introdotte la flessibilità oraria e del curricolo, i programmi ministeriali (uguali per tutti) sono stati sostituiti dalle programmazioni, dai curricoli, dalle unità didattiche, dalle unità di apprendimento, dai traguardi per le competenze… e non vado oltre, quale mente malata può pensare di proporre prove standardizzate per tutti gli studenti di tutta la nazione? Potrei far combattere un peso piuma contro un medio-massimo? Se prendo due fiat punto, una con motore 1200 e l’altra con motore 1800 posso farle correre una contro l’altra? Ovviamente si tratta di una domanda retorica, ma poiché l’intelligenza non è di casa dalle parti di viale Trastevere, magari meglio specificarlo.

Poi mi sorge spontanea un’altra domanda: ma quali malati di mente possono partorire delle domande tanto contorte e non in linea con la maturità e la crescita psicologica degli alunni? Ma questi sapientoni hanno mai messo piede in una scuola media (La chiamo così perché mi rifiuto e continuerò a rifiutarmi fino al giorno della pensione di chiamarla secondaria di I grado)? E sempre per i grandi esperti di docimologia, ma qualcuno di loro ha mai studiato i testi di Piaget? Se mediamente un ragazzo normodotato raggiunge lo stadio delle operazioni formali intorno ai 15 anni, come possiamo pretendere che alla scuola media gli studenti rispondano a domande per le quali occorre una capacità di astrazione che non hanno? Personalmente mi è capitato nel lontano 2008 all’esame di licenza media di avere tra le mani un quiz per disabili e le domande di matematica erano talmente contorte da lasciarmi a bocca aperta, difficili anche per un allievo normodotato, figuriamoci per un disabile grave, come era il malcapitato ragazzino.

Infine mi viene da dire: possibile che in un paese come l’Italia si debbano sempre scimmiottare le stupidaggini americane, guardandosi molto bene dal recepire le cose buone? Ma nessuno si è mai chiesto come funziona davvero il sistema scolastico che ha partorito questa assurdità dei test standardizzati? Ci sarà un motivo per cui oltre la metà degli studenti statunitensi arriva al primo anno di università senza conoscere la differenza tra Austria e Australia? E perché proprio nelle più prestigiose università degli USA abbondano professori e ricercatori italiani di vecchia scuola (quelli cresciuti con il nozionismo, il tema di italiano, l’interrogazione alla cattedra)? Possiamo dire che sarà così tra 50 anni per le nuove generazioni cresciute a LIM e INVALSI? Verrebbe da dire “ai posteri l’ardua sentenza” … e allora io continuo a domandarmi: Cui prodest?

Francesco Martini