Carichi di lavoro pesanti, scarso equilibrio con la vita privata, culture aziendali malsane e l’incapacità di trovare un’autenticità nel proprio posto di lavoro, sono le motivazioni che mettono in crisi la stabilità mentale dei più giovani.
In cima alle preoccupazioni delle nuove generazioni, vi è l’assenza di prospettive solide con cui costruirsi il proprio futuro. A cavallo dei 30 anni, si presume che le persone abbiano raggiunto l’età delle responsabilità e che di conseguenza debbano far fronte a nuove esigenze.
Ma se questo non succede può sopraggiungere un incessante malessere, un senso di insoddisfazione che degenerandosi può diventare un disturbo psichico. In altre parole, la salute mentale rientra tra i fattori più importanti nella valutazione di potenziali nuovi lavori.
Tuttavia, il disagio mentale è ancora accompagnato da un forte stigma. Secondo un recente studio, molte persone hanno affermato di essersi assentate dal proprio posto di lavoro per affrontare problemi di salute mentale, senza rivelare al proprio datore il vero motivo dell’assenza. Quindi, possiamo dedurre che la strada verso una normalizzazione della cura della salute mentale è ancora lunga.
A tal proposito, è fondamentale agire in maniera trasversale e costruire una cultura del lavoro in cui il benessere mentale possa essere oggetto di discussione aperta e in cui le persone siano incoraggiate a cercare un sostegno adeguato. Ciò significa, ovviamente, anche offrire strumenti e politiche di sostegno, spingendo le persone a farsi avanti senza paura del giudizio altrui.
Inoltre, per ottenere un benessere mentale, occorre raggiungere un buon equilibrio tra lavoro e vita privata. Ciò richiede: modalità di lavoro più flessibili, smart working o lavoro ibrido (più della metà della Gen Z e dei millennial ritiene infatti che l’hybrid work sia positivo per la salute mentale), settimane lavorative di quattro giorni e maggiori opportunità e avanzamenti di carriera anche per chi sceglie il part-time.
Infine, un piano altrettanto importante su cui agire riguarda l’inclusività. Ancora oggi, i comportamenti non inclusivi sul lavoro rimangono diffusi. Molti giovani affermano di aver subito molestie o microaggressioni sul lavoro come comunicazioni inappropriate, approcci indesiderati, esclusione, battute sul genere e molto altro. Per questo, sono necessarie leadership inclusive che promuovano a tutti i livelli la fiducia e l’empatia tra le persone, eliminando giudizi e discriminazioni.
Favorire conversazioni aperte, individuare segnali di malessere, offrire sostegno in modo proattivo ma non giudicante, sono i pilastri su cui dovranno essere costruiti i nuovi ambienti di lavoro. Ambienti in cui ogni persona possa sentirsi bene.
Rossella Raia