Secondo Lyotard l’opera d’arte cerca di rappresentare l’irrappresentabile nella modalità che la rendono tale, ovvero attraverso una realtà sensibile che si vorrebbe trascendere
ma che in realtà rimane inevitabilmente ancorata al suo essere cosa, realtà materiale. In particolare attraverso le avanguardie la scommessa dell’arte è stata di mostrare l’Essenza della Forma come qualcosa che si può concepire ma non si può vedere.È il paradosso dell’arte moderna, mostrare ciò che non si può vedere attraverso il visibile, o se si vuole dirla diversamente, mostrare un’opera d’arte con l’intenzione di rendere intelligibile una realtà sovrasensibile.
Questa apparente incongruenza si traduce in un dissidio tra l’ Idea e la Forma che Lyotard riprende nell’ottica del Sublime kantiano. Tale sublime si manifesta nell’impossibilità della forma di rispondere alle esigenze dell’Assoluto della ragione: se alla ragione è dato lo spiacevole desiderio di anelare all’infinito/assoluto ciò non vuol dire che la forma possa essere esaustiva nel placare questa esigenza. In questo dissidio però l’opera d’arte gioca un ruolo fondamentale perché pur presentandosi come realtà sensibile, concreta e tangibile, di fatto rende “presente” questa esigenza di assoluto anche se quest’ultima non verrà mai colmata. La relazione che si determina tra l’opera e il suo osservatore è costituita da una presentificazione: L’opera si dà, e il suo darsi, ovvero presentarsi, mostra come sia impossibile rappresentare l’irrappresentabile anche se questo irrappresentabile lo si avverte sì, ma solo concettualmente.
Tale aspetto in apparenza negativo si volge al positivo, secondo Lyotard, perché l’arte contemporanea non si ferma al rimpianto di un sublime irraggiungibile ma fa di questa mancanza uno stimolo per creare forme sempre innovative e personali. In altre parole è nel presentarsi come realtà sensibile del qui e ora che l’arte moderna ha giustificato la propria ragion d’essere anche in funzione di una messa in parentesi del tempo e dello spazio. Al di là di un ritorno alle origini ( inteso come ritorno ad un’arte non mediata da alcuna conoscenza) Lyotard preferisce anteporre al vissuto un atto di unione tra esperienza e sensibilità, deducibile in nuove superfici di iscrizione estetica. Si tratta di rendere sempre nuova la superficie sensibile dell’opera d’arte attraverso i mezzi e gli strumenti che la rendono tale.
In ultima analisi la possibilità offerta all’opera d’arte è quella di instaurare un legame con l’artista/osservatore sulla base di un sentire da cui trarre informazioni su ciò che ci circonda o, per meglio dire, su ciò da cui traiamo un’esperienza. Un’esperienza che si concretizza nel rapporto costante tra l’intelletto e il mondo sensibile, tra il pensiero e l’opera d’arte, e che si manifesta in quella che Lyotard chiama Anima, come traduzione del cosiddetto pensiero-corpo.
Dunque l’arte, ed in particolare quella moderna, ha una finalità che si concretizza in uno spasmo, un’affezione, scaturito da un’esperienza sensibile. Si tratta di una vera e propria apparizione che investe questo pensiero-corpo, lo rigenera sul piano della sensazione come fondamento della conoscenza. L’Anima, così come viene intesa dal filosofo francese, non è un ente, autonomo e autosufficiente, ma è incarnata in un evento, in uno stato che più che esistere, insiste in ragione di un rapporto di affezione inaspettato, improvviso, quanto rivelatore.
Angelo D’Amato