Storia della cucina italiana: viaggio semiserio nella gastronomia tra mito, scienza e curiosità

Se al giorno d’oggi siamo tempestati da programmi di cucina e sembra che gli chef stellati abbiano raggiunto dignità pari a quella del Presidente della Repubblica, va detto che non è stato sempre così.

Nei tempi passati i cuochi non erano propriamente considerati come vati e la nostra penisola era amata dai viaggiatori più per i paesaggi che per il cibo. Le cronache riportano anzi che fino agli inizi del XIX secolo l’Italia era nota per il mangiar male e fu soltanto nel 1891 che venne pubblicato il primo manuale di cucina italico “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi, convintosi a scrivere un libro di cucina dopo essersi beccato un’intossicazione alimentare in una trattoria di Livorno nel 1855. Prima di lui il vuoto, anzi il pieno di schifezze, tanto che i viaggiatori del grand tour, estasiati dai paesaggi, dalle città d’arte, dalla bellezza delle donne, dalla cordialità e dalla simpatia del popolo, restavano invece disgustati a tavola. Oggi sembrerebbe difficile da credere eppure gli italiani erano conosciuti in Europa per essere i peggiori cuochi del continente; a tal proposito resta addirittura nell’immaginario collettivo un piatto servito a dei malcapitati viaggiatori inglesi, i quali si ritrovarono a tavola un vassoio con un’intera testa di maiale circondata da una selva di imprecisate verdure… chissà quale dovette essere la reazione dei convitati di fronte a questa pietanza che di gourmet aveva ben poco e poi, per disgustare degli inglesi che propriamente maestri di cucina non sono mai stati!

E se andiamo a ritroso nel tempo, spulciando una miscellanea di fonti che solo nel XX secolo hanno cominciato ad avere una sistemazione critica e organica, allora scopriremo una vera e propria galleria degli orrori culinari, dalle meduse con uova mangiate dagli antichi Romani, alle grasse zuppe medievali, fino all’usanza di adagiare il cibo su focacce poi usate a mo’ di tovaglioli e infine mangiate (forse proprio da qui nasce il detto… mangiare anche i piatti). Ma sempre tra il serio e il faceto (e come si potrebbe fare altrimenti, visto che la tavola è da sempre il luogo della gioia e del piacere, oltre che un buon posto per discettare di serietà filosofiche), cercherò di percorrere un viaggio anche tra le bontà del passato, guardando alla gastronomia come parte della storia sociale e della mentalità; i pasti di Carlo Magno erano diversi da quelli di Bodo il servo della gleba e diverse erano le loro case, le loro mense e le loro conversazioni. Dunque la cucina vista non solo come mezzo per riempire lo stomaco, ma neanche troppo sublimata in un mondo poetico e filosofico, come oggi giornali e televisioni vogliono farcela apparire a tutti i costi, piuttosto come mezzo di indagine per capire e per capirci, come persone e come popolo.

Francesco Martini